La rappresentazione dell’orrore

Durante la notte del 2 Ottobre Renfield, il disgraziato che nel romanzo di Bram Stoker è il personaggio che rappresenta la follia, rimane vittima di un terribile incidente.

Diario del dottor Seward, 3 ottobre
(…) Giunto nella stanza di Renfield, l’ho trovato disteso sul pavimento, sul fianco sinistro, in una luccicante pozza di sangue. (…) L’infermiere che stava inginocchiato accanto al corpo mia ha detto, mentre lo voltavamo: “Temo, signore, che abbia la spina dorsale spezzata. Vedete? Sia il braccio che la gamba destri e la parte corrispondente del volto sono paralizzati.” Come una cosa simile fosse potuta accadere, lasciava letteralmente di stucco l’infermiere, il quale, senza capirci niente, un’espressione sbalordita in volto, ha soggiunto: “Non riesco a raccapezzarmi. Certo, avrebbe potuto ridursi il viso a quel modo sbattendo la testa sul pavimento. L’ho visto fare una volta da una giovane donna al manicomio di Eversfield, prima che qualcuno fosse in grado di fermarla (…) Ma giuro che le due cose non riesco assolutamente a metterle assieme. Se aveva le vertebre spezzate, come poteva sbattere la testa in terra (…)”

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Seward manda l’infermiere a chiamare Van Helsing, il quale, come al solito, cerca di mantenere la calma, dando prova di intelligenza e umanità e, allo stesso tempo, di incredibile freddezza:

“(…) Il paziente [Renfield, n.d.r.] respirava adesso in maniera affannosa, e non era difficile rendersi conto che le sue lesioni erano gravi. Van Helsing è tornato con straordinaria rapidità, portando con sé una valigetta chirurgica. Evidentemente aveva avuto il tempo di riflettere e di prendere una decisione perché, prima ancora di occuparsi del paziente, mi ha sussurrato: “Mandate via l’infermiere. Dobbiamo stare soli con lui quando, dopo l’intervento, sua coscienza tornerà.” (…) Uscito Simmons, abbiamo sottoposto il paziente a un rigoroso esame. (…) Il professore, dopo un istante di riflessione, ha detto: “Dobbiamo ridurre pressione su cervello e riportare a normali condizioni se questo può essere; (…) la soffusione di cervello aumenterà rapidamente e dobbiamo trapanare subito, altrimenti sarà troppo tardi.”

Della “doppia faccia” di Van Helsing ce ne eravamo già accorti nell’episodio di Lucy quando, subito dopo la morte della ragazza, chiede a Seward di portargli un set completo per le autopsie, ad ogni modo, mentre lui e il dottor Seward stanno parlando di come intervenire su Renfield, arrivano Arthur e Quincey. Seward consente loro di entrare nella cella per assistere all’operazione. Questo non è strano, se si pensa che i folli, privati dei diritti civili, spesso venivano usati come cavie da laboratorio (alla stregua dei topi) e l’esecuzione “in pubblico” di interventi chirurgici (compresi i primi tentativi di parto cesareo) era una prassi che sarebbe continuata anche nel Novecento.

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Comunque, fatti accomodare gli spettatori sul letto del paziente, la rappresentazione dell’orrore può proseguire:

“Dobbiamo aspettare,” ha detto Van Helsing “in modo di poter individuare luogo migliore per trapanazione, così noi potremo con maggior rapidità e perfezione rimuovere grumo di sangue (…) I minuti d’attesa sono trascorsi con terribile lentezza. Mi sentivo stringere il cuore, e dall’espressione di Van Helsing mi rendevo conto che nutriva timori o apprensioni circa ciò che sarebbe accaduto. Per quanto mi riguardava, ero angosciato all’idea di quel che Renfield avrebbe potuto dire. Sì, era un pensiero che mi riempiva di terrore (…) A un certo punto, è parso evidente che le condizioni di Renfield stavano rapidamente peggiorando: poteva morire da un momento all’altro. Ho guardato il professore (…) “Non è tempo da perdere. Le sue parole possono salvare molte vite. È questo che io dico a me, da quando io sono qui. Può darsi che qui una anima sia in pericolo! Noi opereremo proprio sopra di orecchio.” E, senz’altro aggiungere, ha eseguito la trapanazione.”

A guardarla bene è una scena allucinante, ma rivelatrice: il paziente in fin di vita è niente più che un oggetto nelle mani di due medici che lo usano come mezzo per trovare una cura alla malattia che sta sconvolgendo il loro mondo e, nel caso di Seward, distruggendo le sue convinzioni scientifiche!

Infatti, più che per la morte del paziente, Seward si preoccupa di quello che Renfield dirà, perché sente che rischierà di mandare in pezzi tutta la sua “fede” in certe teorie. Cosa che, fastidiosamente, avviene, quasi che Stoker (con un certo sadismo) volesse dimostrare che il processo di evoluzione (e di crescita) deve necessariamente passare attraverso una dolorosa messa in discussione di tutte le certezze.

“Abbiamo umettato le labbra secche di Renfield, che ben presto si è ripreso. Si sarebbe tuttavia detto che quel povero cervello ferito avesse continuato a funzionare nell’intervallo [fra lo svenimento e la ripresa dei sensi grazie a del brandy… sic! n.d.r.] perché, non appena ripresa piena coscienza, Renfield mi ha guardato intensamente, con un’espressione di smarrita angoscia che mai dimenticherò, e ha detto: “Non posso ingannare me stesso. Non è stato un sogno, ma un’orribile realtà. (…) Presto, dottore, presto. Sto morendo! Sento che mi restano solo pochi minuti, e poi sprofonderò nella morte, o in qualcosa di peggio! (…) C’è qualcosa che devo dire prima di morire, o almeno prima che muoia il mio povero cervello spappolato. Grazie!”

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Così, con tanto di ringraziamento da parte del paziente, la tortura prosegue e mentre la Scienza e la Fede cercano di cavare risposte sensate da un cervello lobotomizzato, il Conte, alias il Morbo, attacca su un altro fronte, spiazzando tutti.

FINE III PARTE.


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