Vague Lanes: Foundation and Divergence

Due bassisti mancini, accompagnati dalle drum-machine e da un sinth freddo, entrambi veterani della scena post-punk californiana (Alameda, San Francisco Bay Area) non potevano che creare qualcosa di affilato e nostalgico.

Vague Lanes, il duo darkwave formato da Mike Cadoo, proveniente dal glitch e dall’elettronica sperimentale (Gridlock, Dryft, Bitcrush) e Badger McInnes, con una passato goth-rock (We burn, After the Apex) ha debuttato il 24 dicembre 2022 con ‘Foundation and Divergence’ il cui ascolto, inizialmente, mi ha generato emozioni e pensieri contrastanti, forse perché avevo intuito che da un album come questo non si esce indenni.

Il sound e i testi, complice una voce sotto la quale si muovono perennemente angoscia e tensione, evocano immagini talmente melanconiche e feroci che la spinta nell’abisso è sempre dietro l’angolo e i temi che si dipanano nelle otto tracce (più una strumentale) dell’album sono: follia, depressione, alcolismo, amori finiti, disprezzo per il Cattolicesimo e la sua ipocrisia.

Da un punto di vista lirico ‘Foundation and Divergence’ è un poema sulla fragilità umana che mi ha riportato a certe desolazioni di T.S. Eliot ma anche alle visioni ossessive, sincopate e crudamente romantiche di Allen Ginsberg.

È una sorta di viaggio nell’oscurità personale e delle relazioni: inizia con “Anhydrophobic”, che parla di alcoolismo e del decadimento interiore che la dipendenza accresce di giorno in giorno:

I die on the inside

Every day

It’s a slow decay

Un decadimento che anestetizza le emozioni, considerate inutili, pericolose e quindi da tenere alla larga:

Those needless emotions

I keep at bay

Everyday

Un distacco che azzera la compassione, l’empatia e diventa riflessione dapprima rabbiosa e poi disperata in ‘We’ll Always have never’, che suona come una condanna all’infelicità, preludio ideale alla bellissima e struggente ‘A dying star’, che parla di una relazione che si raffredda come una stella morente a causa dell’irriducibile distanza che si è venuta a creare fra i partner :

We are not the same inside

This is the long goodbye

I tried and it never seemed right

La drum-machine scandisce i colpi che mi hanno evocato quelli del martello sui chiodi di una bara – è la sepoltura di una storia – e via, via, lascia spazio al suono dei bassi che, insieme alla voce, passano dall’ineluttabilità della fine alla nostalgia di un lungo addio nel quale entrambi provano a lasciarsi, si nascondono, almeno finché uno di loro riuscirà a stare lontano dall’orbita dell’altro:

This is the long goodbye

Which we both try and hide

I’ll do as much as try

This is the long goodbye

Just as long I can stay away

Just as long I can stay away

from your orbit

Perso l’amore, c’è uno sprofondare nella solitudine, con i suoi fantasmi. “Nihilist Knot Twist” è la rappresentazione di un conflitto interiore:

Inside takes time just so see you

It never feels right or the same

Self as maligned

To return

Insane

Ma l’esito non è altro che un’ulteriore sconfitta, un’incapacità di risolversi che sfocia nella triste, evanescente speranza di una seconda occasione che non arriverà:

There’s gotta be another way

Or another day

To get back to you

‘Here Now’ è un altro gioiello dalla sonorità dark classica (a dir il vero tutto “Foundation and Divergence”, per certi versi, è un revival). Qui, dopo la depressione, arriviamo alle soglie della follia:

What am I doing here?

It’s leaving sores on my brain

There’s no need to be near

I must be insane

O di una terribile illuminazione a proposito della totale mancanza di senso della realtà e della vita: Why here? Why now?

Due domande terribili, definitive, ripetute ossessivamente fino alla fine, prima di passare a ‘The kneeling’, un attacco al Cattolicesimo che in un paio di versi getta un bagliore luciferino su tutta la faccenda:

This halo wasn’t always mine

I stole it while you were kneeling

In ‘The Induction to Waves’ si spalanca l’abisso che fa intravvedere un unico esito possibile alla fatica e al dolore dell’esistenza e culmina in ‘Hollow Clock’, in assoluto una delle mie preferite:

There were moments

Then minutes

And hours

And then days

It was you who couldn’t feel

In so many ways

There was darkness then light

I’d always thought what if I might let go… What if I let go?

Già, cosa succederebbe se lasciassimo andare tutto, se ci lasciassimo andare?

Il viaggio si conclude con la sola musica.

Io respiro, a fondo. E lo riascolto.


SETLIST

  • 1. Anhydrophobic
  • 2.We’ll Always Have Never
  • 3. A Dying Star
  • 4. Nihilist Knot Twist
  • 5. Here Now
  • 6. The Kneeling
  • 7. The Induction To Waves
  • 8. Hollow Clock
  • 9. Organum

Per ascoltare Vague Lanes vai qui:


Questo articolo è stato pubblicato su Ver Sacrum: Vague Lanes: Foundation and Divergence – Ver Sacrum


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