Quella che sto per raccontarvi non è la cronaca del concerto dei Dead Can Dance al Gran Teatro Geox di Padova, addì 28 maggio 2022, bensì la storia di un’immersione in abissi fluidi e densi, verso un fondo sabbioso che occulta un tesoro.
Per me, infatti, l’incontro con la musica dei DCD è come tuffarsi in un lago alla ricerca di un anello perduto e quando, ormai, ti sembra di annegare ecco che una voce sgorga come un raggio di luce che fende la materia e ti offre una boccata d’aria.
Opera al Nero – Piombo
Arrivo a Padova predisposta alla discesa. Nel grande teatro siamo tutti seduti, l’attesa è blu.
Puntualissimi, i DCD entrano in scena e il fondale cambia: ha il colore del sangue e del buio del ventre materno; come nel caso dell’esistenza di tutte le cose di questo mondo anche la loro danza incomincia con ‘Yulunga’ (Spirit Dance).
La nostalgia di un’innocenza perduta, la necessità di una ragione per vivere e sopravvivere mi accompagnano quotidianamente ma lo spirito della vita che spinge continuamente l’essere nel labirinto dell’esperienza non concede via di scampo. Ci sono momenti nei quali dimentico chi sono – Another memory lapse – momenti nei quali i ricordi cadono come foglie dagli alberi – Memories fall from the trees – e la madre delle Muse è la sola che ha il potere di riportare nel presente il mio passato. Sweet Mnemosyne – Dolce dea della Memoria, aiutami a ricordare.
Oh, ecco di nuovo il blu, il ritorno all’origine! Ma l’inconscio non è un territorio facilmente accessibile… Il silenzio è un incantesimo che mi incatena – Locked away inside all these years. Devo scendere di più in me stessa e rinunciare alle mie paure? Forse l’amore è la sola forza che mi riporterà a casa, eppure sul palco tutto si colora di grigio. Anche l’amore è una commedia – You build me up then you knock me down./You play the fool while I play the clown. Pensavo di trovare nell’altro un senso per la mia vita mentre la nostra casa è diventata un cimitero – Now I’m serving time in a domestic graveyard./ I don’t believe you anymore … I don’t believe you. L’amore si è rivelato un inganno e ho impiegato invano il mio tempo. Ancora giù, verso il fondo. L’amore è morto, io sono morta: è nuovamente buio e una lingua sconosciuta, una voce di sirena mi avvolge in un canto che viene da lontano.
Galleggio nel nulla, sperando che il dolore finisca ma poco alla volta ritornano il rosso e il grigio.
Ricomincio a sognare insieme ai miei fantasmi e presto entro nell’oceano della disperazione: I am disabled by fears concerning which course to take. / For, now that wheels are turning, / I find my faith deserting me… “Affidiamo alla forza l’amore che vogliamo difendere” ma se il cuore rimane chiuso il solo canto che possiamo udire è il lamento di un bambino cacciato dal Paradiso.
- YULUNGA (SPIRIT DANCE)
- AMNESIA
- MESMERISM
- THE UBIQUITOUS MR. LOVEGROVE
- PERSIAN LOVE SONG
- IN POWER WE ENTRUST THE LOVE ADVOCATED
Opera al Bianco – Argento
Nell’induismo l’avatar è l’incarnazione di un dio. A Padova ‘Avatar’ è il settimo pezzo della setlist. Il sette è un numero magico: nel buddismo rappresenta la completezza, nel cristianesimo è associato ai doni dello Spirito, nella mistica alla conoscenza del divino. Un ciclo si chiude, un altro si apre: il velo di Maya si scosta e la visione è quella di una realtà multiforme, cangiante, popolata da strane creature mosse dal desiderio – The fabulous freaks are leaving town. / They are driven by a strange desire. Nulla è lasciato al caso in questo concerto: l’ottavo brano, ‘The Carnival is over’, testimonia ancora una fine e un nuovo inizio. Entra il viola, il colore dello spirito, e il numero otto richiama il simbolo dell’infinito.
Talvolta la divinità ci parla: ‘Cantara’ mi fa scoprire che al-qánṭarah in arabo significa ‘ponte’. Ormai sono lontana dalla superficie delle acque, il buio è quasi completo e una verde tristezza mi trascina nel mare del naufragio volontario – Sometimes / I feel the ocean in my blood / See rain from the sky above / Her salt brine tears / And now / Those tears leave a taste on my tongue / Like the warm rush you get from / Black opium.
Quante sere ho passato in solitudine? Quante notti trascorse senza sogni? Sono davanti alla soglia, devo solo attraversarla: non vedo l’ora di addormentarmi e dimenticare tutto. – Sometimes / I feel like I want to leave / Behind all these memories / And walk through that door / Outside / The black night calls my name / But all roads look the same / They lead nowhere.
‘Opium’ è rosso e nero e la voce di Brendan Perry è, se possibile, ancora più profonda; ‘Sanvean’ (I am your shadow) e ‘Dance of the Bacchantes’ mi dicono, infine, la verità: I would promise you all of my life / But to lose you would cut like a knife. – Troppo a lungo sono stata l’ombra di me stessa; non ho avuto il coraggio di amarmi. Mi sono fatta a pezzi.
- AVATAR
- THE CARNIVAL IS OVER
- CANTARA
- OPIUM
- SANVEAN (I AM YOUR SHADOW)
- DANCE OF THE BACCHANTES
Opera al Rosso – Oro
È alla vita che non c’è rimedio, mica alla morte. Quando la sofferenza diventa insopportabile arriviamo tutti alla medesima conclusione, vero? – Another season in this hell / There is sex and death / In mother nature’s plans.
La conoscenza del mondo porta solo disperazione. Dopo che tutte le maschere sono andate in frantumi quale altra cura miracolosa, quale elisir o panacea dovremmo cercare? Non c’è più speranza nemmeno nell’amore. Tutto è freddo e morto. – Like Prometheus we are bound / Chained to this rock of a brave new world / Our godforsaken lot / And I feel that’s all we’ve ever needed to know / ‘Til worlds end and the seas run cold.
Eppure, l’ultimo ciclo di questo viaggio incredibile insieme ai DCD è proprio all’insegna del Fuoco, del calore. In ‘Black Sun’ ci sono uomini di fuoco, c’è Prometeo, il titano che rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e venne punito da Zeus. Il Sole qui è nero, come durante un’eclissi o come l’anello sul fondo del lago. L’ho visto: un cerchietto dorato nelle tenebre. Ma è un Sole Nero che prelude a un altro Sole circondato da Serafini, le potenze angeliche fatte di fuoco che è un fuoco spirituale (l’ardore della Carità, dice San Tommaso) – We are the children of the sun / Our kingdom will come / Sunflowers in our hair / We are the children of the sun / Our carnival’s began / Our songs will fill the air / And you know it’s time /To look for reasons why – Possiamo noi esseri umani ambire a tanta bellezza?
La risposta – umanissima – è racchiusa nelle ultime due canzoni: ‘The wind that shakes the barley‘ e ‘Severance’ ma dovrete cercarla da soli.
Siete pronti a rinascere?
- BYLAR
- BLACK SUN
- THE HOST OF SERAPHIM
- CHILDREN OF THE SUN
- THE WIND THAT SHAKES THE BARLEY
- SEVERANCE
Questo articolo è stato pubblicato su Ver Sacrum: Dead Can Dance, Padova 28/05/2022 – Ver Sacrum

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